Gli ungulati e il cambiamento climatico

Radiocollare su camosci e lupi del Grappa per uno studio unico a livello alpino

Il progetto durerà tre anni e seguirà gli spostamenti di una trentina di camosci e di cinque lupi, con l’obiettivo di dimostrare che la presenza del bosco mitiga gli effetti del cambiamento climatico per gli ungulati

Radiocollare su camosci e lupi del Grappa per uno studio unico a livello alpino
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Uno studio su camosci e lupi del Grappa.

Radiocollare su camosci e lupi del Grappa per uno studio unico a livello alpino

In un clima che cambia sempre più in fretta, come mutano i comportamenti delle popolazioni di ungulati dell’arco alpino? La risposta può arrivare dai camosci del Monte Grappa. La popolazione del massiccio tra Belluno, Treviso e Vicenza infatti sarà al centro di un progetto di studio finanziato dal Pnrr che fa capo al Centro nazionale per la biodiversità, ideato dal professor Marco Apollonio (docente di zoologia al Dipartimento di scienze della natura e del territorio dell’Università di Sassari).

L’obiettivo è osservare come i camosci stanno cambiando le loro abitudini in base all’aumento della temperatura e anche alla presenza del lupo, tornato in pianta stabile sul territorio bellunese (e anche sul Grappa). Il Monte Grappa ha sempre avuto una folta popolazione di camosci. Attestazioni storiche danno l’ungulato presente già nel 1.500. I camosci però si sono estinti sul massiccio durante la Prima guerra mondiale. Gli ultimi esemplari sono scomparsi durante i combattimenti (o presumibilmente cacciati dai soldati per ricavarne cibo fresco).

A metà degli anni Novanta del secolo scorso, un progetto della Provincia di Belluno (consulente Franco Perco già direttore del Parco nazionale Monti Sibillini), con la collaborazione delle riserve alpine di caccia di Feltre e Cortina reintrodusse il camoscio sul Grappa. Furono prelevati 8 esemplari dalla zona tra il Falzarego e il Valparola (sotto il Lagazuoi), grazie alla riserva di Cortina. E furono trasportati fino al Grappa per essere liberati nell’area dei ghiaioni della Busa.

Dopo qualche anno, vennero aggiunti altri 20 esemplari provenienti dal Parco delle Alpi marittime (zona che in quegli anni non era colpita dalla rogna sarcoptica). E da allora il camoscio è tornato ad abitare stabilmente il Monte Grappa e a riprodursi con continuità, tanto che oggi si contano diverse centinaia di esemplari. Proprio questi animali saranno al centro della ricerca del professor Marco Apollonio e del suo staff. L’obiettivo è capire l’impatto del cambiamento climatico.

“Il cambiamento climatico esiste da sempre, ma negli ultimi trenta, quarant’anni agisce a una velocità tale da non permettere agli animali di adattarsi con facilità. È il motivo per cui osserviamo diverse specie spostarsi più a nord o a quote altimetriche più elevate - ha premesso il professor Apollonio - Gli effetti finora osservati sul camoscio ci mostrano che le popolazioni alpine sono in diminuzione, e dagli anni ’80 in avanti gli esemplari giovani pesano sempre meno, vale a dire che si presentano più deboli. Nel tempo, il rapporto tra giovani e adulti continua a diminuire, significa che i piccoli non riescono ad arrivare a diventare adulti, se non con sempre maggiore difficoltà. E questo perché più aumenta la temperatura, e meno i camosci mangiano. Ma non è così ovunque. Il camoscio è una specie con una diffusione in una fascia altimetrica molto vasta: va dai 500 ai 3.000 metri. E alcune popolazioni di bassa quota sembrano rivelare una resistenza e uno stato di salute maggiore. L’ipotesi fatta è che il bosco possa rappresentare un’area rifugio, soprattutto nella funzione di attenuare l’effetto dell’aumento della temperatura”.

Da qui è partita l’idea di studiare i camosci del Grappa.

“Il Grappa è esattamente quello che possiamo considerare l’ambiente ideale per i camosci nel prossimo secolo - ha detto Apollonio - Lo studio partirà dall’incrocio della temperatura e dell’umidità, per monitorare gli spostamenti e i comportamenti dei camosci, che seguiremo grazie al radiocollare di cui doteremo una trentina di esemplari, divisi per fasce d’età e di sesso. La variante utile allo studio è che il Grappa vede anche la presenza dei predatori, con tre branchi di lupi”.

Il progetto durerà tre anni e seguirà gli spostamenti di una trentina di camosci e di cinque lupi, con l’obiettivo di dimostrare che la presenza del bosco mitiga gli effetti del cambiamento climatico per gli ungulati. Si tratta di un progetto unico a livello alpino, che si avvale della collaborazione della Polizia Provinciale di Belluno. Gli agenti, infatti, dotati di un apposito lancia-siringhe ad aria compressa, seguiranno il team del professor Apollonio per selezionare gli esemplari da catturare. Una volta sedati, saranno analizzati, radiocollarati e poi rilasciati. Dopodiché i loro movimenti saranno tenuti sotto controllo dagli studiosi.

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