7 luglio, metalmeccanici in sciopero anche a Belluno
I sindacati: “La progettazione deve anche prevedere un contenuto sociale, per sostenere, accompagnare e aumentare l’occupazione, migliorare le condizioni di lavoro, ridurre l’impatto ambientale”
Quattro ore di sciopero a partire dalle 15 davanti alla Prefettura di Belluno.
7 luglio, metalmeccanici in sciopero anche a Belluno
Alla proclamazione della mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici, annunciata dalle sigle nazionali dei metalmeccanici per il 7 luglio, hanno aderito Fiom Cgil, Fim Cisl e Uil Uilm di Belluno. Rilancio industriale e dell’occupazione, investimenti e transizione sostenibile, risoluzione delle grandi crisi aziendali del Paese. Queste le questioni sul piatto e le richieste avanzate al Governo dai Sindacati. Il comparto, a livello provinciale, conta circa settemila addetti.
Per il settore sono sempre più urgenti interventi di politica industriale che ancora non si vedono da parte dell’attuale Governo e senza i quali la condizione economica, industriale e sociale del Paese, già caratterizzate da prospettive di particolare incertezza e precarietà, rischia di peggiorare.
Dal livello nazionale a quello territoriale, per i sindacati dei metalmeccanici è necessario rimettere al centro il lavoro nell’industria metalmeccanica e impiantistica, perché la transizione ecologica e digitale si fa con le lavoratrici e i lavoratori, altrimenti il rischio è quello di aggravare la loro condizione già appesantita da pandemia, crisi energetica e delle forniture, instabilità geopolitica e dei mercati e da un alto livello di inflazione, che erode il potere di acquisto dei salari.
L’industria metalmeccanica è centrale in Veneto e nel Bellunese. Sono indispensabili strategie industriali che impediscano delocalizzazioni, acquisizioni finalizzate esclusivamente a creare valore e dividendi agli azionisti che spesso producono desertificazione industriale. È fondamentale allora un più forte ruolo dello Stato nei settori considerati strategici e ad alto contenuto tecnologico. Negli ultimi anni, infatti, la carenza di microchip e altri componenti tecnologici ha fortemente rallentato la produzione industriale e la capacità di molte imprese di rispondere al mercato. La necessità è quella di politiche industriali chiare, a partire dai tavoli di crisi aperti.
Nel settore dell’automotive, nonostante il leggero aumento della produzione con 400mila auto prodotte in un anno, si è ben lontani dal livello produttivo di 1,5 milioni di auto e il trend è in calo costante negli ultimi 20 anni, con conseguenze sull’occupazione. I ritardi negli investimenti nella transizione ecologica, se non programmata e non gestita adeguatamente, metteranno a rischio ulteriori 70mila posti di lavoro. In particolare, stiamo registrando ricadute occupazionali per i lavoratori dell’indotto.
Nel segmento dell’installazione di impianti, le continue gare al massimo ribasso e l’assenza delle clausole di salvaguardia sociale stanno letteralmente minando il settore.
Nell’elettrodomestico, dopo un aumento consistente della produzione negli anni della pandemia, il settore sta facendo registrare un nuovo e significativo calo, e deve essere al centro di politiche di reshoring e di rilancio degli investimenti tecnologici e sui prodotti.
“La progettazione - sottolineano Stefano Bona, Matteo Caregnato e Michele Ferraro delle segreterie territoriali di FIOM CGIL, FIM CISL e UIL UILM - deve anche prevedere un contenuto sociale, per sostenere, accompagnare e aumentare l’occupazione, migliorare le condizioni di lavoro, ridurre l’impatto ambientale, promuovere modelli di partecipazione dei lavoratori alle scelte delle imprese e il miglioramento di salute e sicurezza. Le lavoratrici e i lavoratori devono potere partecipare a questo processo e devono poter vedere quale sia l’approdo finale. Le loro intelligenze devono essere valorizzate”.