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"La scuola ci valuta ma non ci vede": Maddalena, 19 anni, rifiuta il colloquio di maturità come gesto di protesta

Studentessa del Galilei di Belluno contesta il sistema scolastico: "Tanta preparazione, poca empatia"

"La scuola ci valuta ma non ci vede": Maddalena, 19 anni, rifiuta il colloquio di maturità come gesto di protesta
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Davanti alla commissione d’esame si è seduta, ha estratto la traccia come da prassi e, al posto del colloquio, ha letto un discorso. Lo aveva preparato a lungo, studiato nei dettagli. Un gesto consapevole e pensato, quello di Maddalena Bianchi, 19 anni, studentessa del liceo scientifico Galilei di Belluno.

"La scuola ci valuta ma non ci vede": Maddalena, 19 anni, rifiuta il colloquio di maturità come gesto di protesta

Con parole chiare e misurate, ha spiegato ai docenti che non avrebbe sostenuto l’orale della maturità, scegliendo invece di utilizzare quel momento per contestare il sistema scolastico italiano, che a suo giudizio mette al centro la valutazione e dimentica le persone. Un’azione simile a quella già compiuta da uno studente padovano nei giorni precedenti, che sta diventando simbolo di un disagio più diffuso tra le nuove generazioni.

Nel suo intervento, Maddalena ha sottolineato come la preparazione scolastica, per quanto valida sul piano nozionistico, le sia sembrata carente sotto il profilo umano. "A scuola manca attenzione agli studenti come persone – ha detto – il focus è sempre stato sui voti, mai su chi avevamo davanti".

La sua esperienza, raccontata in un’intervista al Corriere, parte dal primo anno di liceo, quando si trovò catapultata in una nuova classe senza conoscere nessuno. Se da parte dei compagni l’accoglienza fu positiva, da parte degli insegnanti Maddalena dice di non aver sentito alcuna curiosità verso ciò che lei era davvero, al di là dei numeri e dei compiti.

"Non voglio dire che i professori debbano diventare amici degli studenti" ha precisato, ma secondo lei la scuola tende a ignorare l’impatto emotivo della pressione continua legata a verifiche, interrogazioni e classifiche implicite tra compagni. Una competizione che viene alimentata anche dagli stessi insegnanti, ha spiegato, e che genera ansia costante.

La giovane studentessa ha raccontato anche episodi concreti della sua esperienza. Nei primi due anni, ad esempio, si era impegnata con costanza nello studio del latino, ma senza riuscire a ottenere risultati soddisfacenti.

"Alla fine dell’anno ho preso il debito, e a settembre l’insegnante mi ha detto: “Ti do sei, così sei contenta”. Ma io mi ero davvero impegnata. Mi aspettavo altro, forse anche solo un riconoscimento dello sforzo".

Un altro momento difficile è arrivato in terza, con la materia di fisica. Anche in quel caso il rapporto con l’insegnante si è rivelato problematico e le ha fatto perdere ogni motivazione verso la disciplina. Un paradosso, visto che oggi Maddalena sogna di iscriversi ad Astronomia, dopo aver sostenuto i test di accesso a Padova e Bologna. A casa, dice, non ha mai subito pressioni. I suoi genitori l’hanno sempre sostenuta, con tranquillità, sia di fronte ai buoni risultati che alle difficoltà. Ma la pressione, secondo lei, nasce e cresce proprio all’interno della scuola. Ne parlavano spesso anche in assemblea di classe. Alcuni professori erano disposti a mettersi in discussione, altri meno.

Il gesto della "scena muta", come l’hanno ribattezzato i media, Maddalena non lo aveva annunciato a nessuno. L’ha fatto senza clamore, poi ha chiamato la madre subito dopo l’esame. "Era contenta – ha raccontato – mi ha detto che avevo fatto bene, che era stato un gesto coraggioso".

La commissione, a suo dire, l’ha ascoltata con attenzione. Alcuni docenti avrebbero persino riconosciuto che all’interno del sistema scolastico esistono dinamiche problematiche, difficili da cambiare. "Per la prima volta – ha detto Maddalena – ho avuto la sensazione che parlassero come persone, non solo come insegnanti".

Sul futuro, è consapevole che il mondo del lavoro non sarà più comprensivo. Ma proprio per questo, ritiene, non si dovrebbe iniziare già a 14 anni a interiorizzare logiche di competizione e pressione costante.

"Dalla terza superiore in poi inizi a farti un’idea di cosa ti aspetta, con l’alternanza, i lavoretti estivi. Ma questo non significa che la scuola debba essere un campo di addestramento alla performance - ha concluso, e poi riferendosi a studenti che avrebbero fatto la stessa cosa - Forse è l’inizio di una rivoluzione. Non so ancora come faremo a cambiare le cose, ma ci stiamo provando. In alcuni Paesi del Nord Europa ci stanno riuscendo, puntando su modelli educativi meno competitivi. Potrebbe essere una strada anche per noi".