Nel 62° anniversario del disastro del Vajont, la comunità di Longarone si è riunita questa mattina per ricordare le 1.910 vittime di quella notte del 9 ottobre 1963.
Vajont, 62 anni dopo la tragedia: Padrin invita a guardare avanti senza dimenticare
Durante la cerimonia ufficiale, il sindaco Roberto Padrin ha aperto il suo intervento con un intenso richiamo al mito di Orfeo ed Euridice, trasformandolo in un simbolo della rinascita del paese: “Anche Longarone era morta quel giorno, ma oggi è di nuovo qui grazie alla forza e al coraggio dei superstiti e dei soccorritori. Nuovi Orfeo che non si sono mai voltati indietro”.
Padrin ha ricordato come la comunità, unita dal dolore ma anche dalla solidarietà, sia riuscita a rinascere dopo la distruzione, sottolineando il valore della memoria come impegno civile: “Nel ricordo, noi li teniamo in vita. La memoria non è solo ricordare, ma anche assumersi nuove responsabilità”.
Il sindaco ha citato le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pronunciate in occasione del 40° anniversario della tragedia della Val di Stava, e ha ribadito l’importanza di trasmettere ai giovani il senso profondo di quella lezione: “Abbiamo formato tanti ragazzi perché diventino testimoni del Vajont, portando avanti il racconto di chi l’ha vissuto”.
Nel suo intervento Padrin ha annunciato anche l’ingresso della Regione Friuli Venezia Giulia nella Fondazione Vajont, che rafforzerà le collaborazioni e le iniziative in ambito nazionale e internazionale. Ha inoltre ringraziato il Parlamento Europeo per il messaggio inviato dalla presidente Roberta Metsola, segno di una memoria che “continua a parlare al mondo intero”.
Il sindaco ha infine rivolto un appello alla pace, in un periodo segnato da nuovi conflitti: “Da Longarone vogliamo che parta un messaggio di pace e di speranza. Non voltiamoci indietro: guardiamo avanti e usiamo parole che smuovano le coscienze, parole di memoria e di pace”.
Anche in Senato, durante la commemorazione della tragedia, è intervenuto il senatore bellunese Luca De Carlo (Fratelli d’Italia), che ha voluto ricordare quanto il Vajont rappresenti una ferita ancora viva:
“Il 9 ottobre non è una giornata normale per la Provincia di Belluno, non lo è per tutti gli italiani, ma a maggior ragione per chi, come me, chiama casa posti come Longarone, Erto e Casso”.
De Carlo ha sottolineato la responsabilità umana dietro la tragedia:
“Fu l’uomo a rompere il rapporto tra montagna e popolazioni locali, che avevano avvertito del pericolo grazie alla loro conoscenza del territorio”.
Il senatore ha ricordato anche il segnale di rinascita arrivato subito dopo la catastrofe:
“Morirono quasi 2mila persone, 487 delle quali bambini, ma solo pochi giorni dopo gli Alpini aprirono una scuola sotto una tenda per i pochi sopravvissuti. Fu un chiaro segno di ripartenza”.
De Carlo ha infine spiegato la sua presenza in Aula:
“Oggi sono tante le manifestazioni in provincia di Belluno, ma credo che un rappresentante di quel territorio abbia il dovere, seppur desideroso di essere presente, di stare in Senato: è da qui che possiamo lavorare affinché ciò che è accaduto non accada mai più”.