Botta e risposta

Selvaggia Lucarelli e la polemica sugli impianti da sci: il messaggio da Belluno la commuove

Le parole di Alessandra per descrivere la "vera" montagna e chi ci vive.

Selvaggia Lucarelli e la polemica sugli impianti da sci: il messaggio da Belluno la commuove
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Selvaggia Lucarelli e la polemica sulla chiusura degli impianti da sci: ma non tutti sono d'accordo. A sostenerla, da Belluno, c'è Alessandra.

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Selvaggia Lucarelli e la polemica sulla chiusura degli impianti da sci

Nei giorni scorsi si è scatenata una vera e propria polemica dopo le affermazioni di Selvaggia Lucarelli in merito alla chiusura e riapertura degli impianti sciistici.

La nota giornalista aveva pubblicato un post sulle piste da sci nel quale giudicava un errore riaprire tale settore, che secondo Lucarelli potrebbe avere le stesse conseguenze già viste con la riapertura delle discoteche estive. Certo, come nel suo stile, non è andata tanto per il sottile: "Tutti quelli che hanno il problema del dove, quando, come andare a sciare con 700 morti al giorno meriterebbero di finire un paio di minuti sotto la neve, magari venuta giù da una grondaia molto grande. Di sperimentare l’inebriante sensazione della fatica nel respirare, del non sapere come andrà a finire, del provare il fiato corto e la claustrofobia di chi resta sotto un casco per giorni, col Covid.Per due minuti, mica di più, poi arriva un soccorritore o un San Bernardo e lo tira fuori. E magari lo skypass smette di essere la priorità di fine anno”. 

Parole forti che avevano scatenato polemiche e commenti a non finire sui social. Alimentate, secondo la giornalista, anche dalle note sciatrici Sofia Goggia e Federica Brignone, che pur di difendere il loro settore anzichè smorzare gli insulti li avrebbero invece alimentati.

"Questa è la montagna"

Ma c'è anche qui esce dal coro. Alessandra, vive a Belluno, e manda a Selvaggia Lucarelli righe dense di significato per descrivere la montagna e chi ci vive:

Cara Selvaggia,
ti chiedo scusa a nome di tutti noi che viviamo in montagna. Per anni l’espressione montanaro richiamava l’immagine di persone rozze, chiuse, cupe. Oggi invece va di moda l’espressione del buon montanaro. Grazie anche a migrazioni di intellettuali in fuga dalla città la montagna diventa una mamma premurosa in grado di curare gli affanni della vita inquinata di città.
Non è così.
Vivere in montagna è difficile e probabilmente nemmeno così piacevole. Altrimenti non si spiegherebbe il fenomeno dello spopolamento che, ogni anno, fa spegnere le luci di un piccolo paese alpino. In montagna mancano reti adeguate di collegamento, in montagna anche pochi km possono trasformarsi in ostacolo per raggiungere i servizi essenziali, in montagna nascere è difficile e non privo di rischi. In montagna ci sono le frane che isolano i Paesi, ci sono alberi schiantati, ci sono nevicate che spengono l’elettricità anche per giorni interi.
In montagna mancano le infrastrutture immateriali e perfino le emittenti televisive. In montagna ci sono i grandi colossi dell’occhialeria che, da una parte, offrono un futuro industriale a migliaia di persone (ad Agordo ci sono più operai che residenti) ma, dall’altra, costruiscono un sistema di welfare privato e di monoproduzione che, se dovesse entrare in crisi, creerebbe dei danni irrimediabili al sistema economico locale.
Noi “montanari” non facciamo trekking od escursioni. Noi andiamo in montagna perché da sempre è così. Perché ci andavano i nostri genitori coi pantaloni in velluto e perché la domenica si cammina, zaino in spalla e via. Non prendiamo il tempo, non facciamo il selfie, la montagna è qualcosa di naturale, di intimo, per se stessi. In inverno la minoranza di noi scia. Lo sci alpino era e rimane uno sport da ricchi, da privilegiati.
La maggior parte di noi ha imparato a sciare grazie a sciclub paesani e ai volontari che scarrozzavano i bambini. Abbiamo fatto sci da fondo, meno costoso e alla portata di tutti, abbiamo indossato le ciaspe. I più appassionati hanno imparato a riconoscere i sospiri della montagna indossando le pelli di foca. Ma no, le domeniche nei grandi comprensori sciistici non ci rappresentano e il carosello degli impianti non ci appassiona. Le domeniche invernali hanno piuttosto l’immagine di code km che si snodano lungo i nostri paesini di montagna, paradossalmente costretti così all’isolamento.
Ovviamente sappiamo che la nostra sopravvivenza è legata anche e soprattutto al turismo ma dovremmo perdere il vizio di invidiare i nostri cugini oltrepasso, quelli delle Regioni a Statuto Speciale, e cominciare a progettare un modello di turismo nuovo.
Cara Selvaggia, ti chiedo scusa da donna. La montagna è per tutti e non fa distinzione di genere. Il sessismo non entra nello zaino, nelle cordate, nella passione. Il fiato si fa corto e conta la voglia, l’entusiasmo.
Il mondo alpinistico rappresenta eroi maschili, ma spesso in cordata, a fare sicura, c’erano donne, amiche, compagne, appassionate ed eroiche pioniere del sesto grado.
Cara Selvaggia, ti chiedo scusa da mamma. Quest’anno i miei bambini probabilmente non scieranno. Da privilegiati potranno indossare le ciaspe, cavalcare le slitte e sarà, probabilmente, ancora più divertente ed eroico. Lo faranno volentieri, per poter continuare ad abbracciare, domani, la loro preziosa nonna.
Cara Selvaggia, ti chiedo scusa a nome degli operatori del settore. Per lavoro incrocio il settore e ti posso tranquillizzare che la grande maggioranza ha ben chiara la situazione. E’ opportuno lo stanziamento di seri ristori piuttosto che un’apertura scellerata che porterebbe costi enormi, cui non corrisponderebbero certo entrate sufficienti. Costi per innevamento (si, sta nevicando ma non basta), costi per l’avvio degli impianti, costi per il personale.. e poi? Poi una successiva chiusura potrebbe essere fatale, così come l’incendiarsi di focolai nelle vallate in cui gli ospedali rischiano il collasso.
Cara Selvaggia, ti chiedo scusa a nome della montagna che ho visto arrossire ed incendiarsi. E non era per l’effetto della Dolomia.
Alessandra, Belluno

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